Atletica, la Iaaf non perdona la Russia

Ora se per la federazione russa la condanna è inequivocabile, e non sembra ci siano i margini politici per salvarla da questo disastro, agli atleti rimane solo una possibilità per partecipare alle gare, fare individualmente ricorso al TAS (Tribunale Arbitrale Sportivo) per dimostrare la propria non colpevolezza. Ovviamente dalla Russia non si sono fatte attendere le reazioni, la campionessa Isimbayeva parla di violazione dei diritti umani, Putin addirittura di un ritorno alla “guerra fredda”, tutto comprensibile, ma rimangono i fatti e questi parlano in modo incontrovertibile contro Mosca.

Dunque CIO e Iaaf sono sulla stessa lunghezza d’onda, tolleranza zero contro ogni tipo di imbroglio. Meglio tardi che mai viene da scrivere visto quello cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, con i vertici di questo sport spesso divisi su tutto e interessati a farsi guerre politiche tra di loro per mantenere il potere invece che gestire la crescita del movimento affrontando di petto il problema del doping. Oggi infatti ogni spettatore si approccia all’atletica leggera (ma il discorso vale per tanti altri sport primo su tutti il ciclismo) con l’atteggiamento non sereno di chi si è scottato già tante volte e quando vede un campione che fa delle prestazioni importanti sta già li a presumere che ci possa essere qualcosa di poco pulito sotto (Usain Bolt per esempio). Con il caso “russo” siamo saliti di livello perché si parla addirittura di “sistema” di stato. Sembra di essere tornati agli anni settanta dello scorso secolo: ricordate la DDR (Repubblica Democratica Tedesca?).

Nessuno può affermare che sia facile battere le pratiche illegali, sappiamo bene che nello sport la vittoria è diventata più importante dell’aspetto sportivo per via del giro di affari che riesce ad alimentare e per il settore delle scommesse illegali che lo alimenta. Per questo il doping spesso anticipa l’antidoping e lo fa proprio potendo contare su una quantità sproporzionata di risorse finanziarie a suo favore. Se vogliamo che lo sport torni ad essere un modello positivo di valori c’è bisogno di un cambio di passo culturale a tutti i livelli, dai vertici del Comitato Olimpico a quelli di tutte le federazioni nazionali fino alle famiglie degli atleti, solo così si riuscirà a riportare quella pulizia che a parole tutti vogliono.