Davis, 1976: 40 anni dal trionfo azzurro

 ESCAPE='HTML'

Foto di Fabrizio d'Andrea

Quarantanni. Si in questo 2016 abbiamo ricordato e festeggiato (troppo poco) i quaranta anni dalla prima (e unica) vittoria italiana della Coppa Davis. Per chi non conosce bene il tennis si tratta della coppa del mondo a squadre del tennis. Era il 1976, in finale gli azzurri batterono il Cile, un paese dilaniato dalla dittatura di Pinochet, con un punteggio netto (4-1) a dimostrazione della forza di una squadra che negli anni ’70 era una vera potenza in questo sport. Un team così nel tennis non l’abbiamo più avuto ed è giusto dargli il tributo che merita. Con i valori tecnici che da trent’anni esprime il tennis italiano è facile pronosticare che in futuro difficilmente alzeremo un’altra Coppa Davis o vinceremo qualche torneo importante a livello individuale.   

A memoria di chi è più giovane e non ha vissuto quei momenti di grande storia sportiva del nostro paese va detto che i nostri eroi erano Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, quattro campioni che ben miscelavano tecnica, talento, agonismo e abnegazione. Già nel 1974 arrivarono in semifinale della Davis, dove furono inopinatamente eliminati dal Sud Africa (li snobbammo), squadra che poi vinse la coppa. Poi il team azzurro arrivò per ben tre volte in finale: nel 1977 contro l’Australia di Alexander, Roche e Newcombe. Si giocò sull’erba di Sydney, l’Australia alzò la coppa ma ahimè Panatta può recriminare tanto per l’incontro con Alexander che l’azzurro avrebbe potuto benissimo vincere, e lì sarebbe cambiata la storia di quella finale. Nel 1978 perdemmo solo contro gli Stati Uniti degli inarrivabili John McEnroe, Peter Fleming e Vitas Gerulaitis (l’atto conclusivo si giocò in indoor a San Francisco) e, infine, la finale del 1980, quella volta sfidammo la Cecoslovacchia di Ivan Lendl e Thomas Smid sulla terra rossa a Praga, fummo sconfitti da avversari forti ma anche per colpa di arbitraggi a dir poco scandalosi, questo andrebbe sempre ricordato.

Quindi il 1976 rappresenta il momento più importante nella storia del tennis italiano, oltre a vincere la Davis il nostro miglior rappresentante, Adriano Panatta, trionfò in singolare a Roma e Parigi (divenne il n. 4 del mondo), in quegli anni poi anche Barazzutti e Bertolucci (grande doppista col braccio che aveva) entrarono nei primi 10 nel ranking mondiale e Zugarelli salì fino al n.27. I successi sportivi e le grandi prestazioni furono tutto merito di questi quattro giocatori sicuramente, ma anche di un duo che ha forgiato questi ragazzi e li ha fatti crescere sia come sportivi che come uomini: sono Nicola Pietrangeli e Mario Belardinelli. Anche a loro voglio dare il tributo che meritano, il tempo passa e c’è il rischio che cadano nel dimenticatoio. Pietrangeli è stato un grande giocatore e da capitano non giocatore (praticamente il Ct italiano) portò la squadra ai livelli che abbiamo raccontato (4 finali in 5 anni). Il secondo è meno conosciuto ma forse ancora più importante per i risultati raggiunti. Mario Belardinelli fu il padre putativo dei giocatori, un maestro di vita come ancora lo ricorda Panatta, un personaggio molto importante per il tennis italiano, prima come giocatore (anni 40 e 50) poi come dirigente e quindi come direttore del Centro federale di Formia, luogo dove sono stati allevati tanti nostri talenti. Si occupò di Nicola Pietrangeli, Orlando Sirola, Giuseppe Merlo e Fausto Gardini, poi col passare delle generazioni di Panatta e Bertolucci. Era avanti per tanti motivi, sensibilissimo talent scout e convinto precursore di metodi di allenamento all’avanguardia che miscelavano gli aspetti tecnici con quelli atletici.

Ora che abbiamo dato a Cesare quel che è di Cesare va anche sottolineato che il tennis italiano rischia di morire di ricordi. Gli anni settanta e i primissimi degli ottanta sono stati ricchi di vittorie e soddisfazioni ma da allora solo tante batoste e pochissimi e rari risultati di eccellenza e questo dà la misura del basso livello cui siamo scesi. Il tennis si è evoluto, è diventato sempre più professionistico e, dal punto di vista del gioco, molto fisico e gli italiani non sono stati in grado di stare al passo. E’ colpa di tutti, della Federtennis, dei maestri, dei giocatori, nessuno può chiamarsi fuori dal disastro attuale. Ma quel che è più brutto è che è difficile che nei prossimi anni cambi qualcosa. O madre natura ci porterà in dono un campione in grado di trainare il movimento italiano o continueremo ad applaudire tennisti di altri paesi, il nostro sistema tennistico non è in grado nemmeno di sfornare giocatori da inserire stabilmente tra il numero 20 o 30 del mondo come succede in Spagna, Francia e Germania. Come dice Panatta: un conto è insegnare a giocare a tennis, un conto è insegnare a vincere. Da noi evidentemente si insegna a giocare a tennis. Amen.