Italia Ko, O'Shea: fiducia, è solo l'inizio

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E’ stata una partita che dal punto di vista tecnico ha detto veramente poco vista la schiacciante superiorità dei neozelandesi, è finita 68 a 10 per i neozelandesi che non hanno neanche spinto sull’acceleratore per fare tutti questi punti. Ovviamente nessuno chiedeva all’Italia di vincere questa partita perché siamo tutti consapevoli che nel mondo di Ovalia siamo molto lontani dai grandi livelli e lontanissimi dai valori tecnici, tattici e atletici che esprimono i “Tutti Neri” però eravamo curiosi di capire a che punto fosse il lavoro impostato dal nuovo coach azzurro (l’irlandese O’Shea) a giugno scorso.

La partita con la Nuova Zelanda ha detto in modo impietoso che il cammino per i “nostri” è lungo, molto lungo. Ieri abbiamo giocato contro una Nuova Zelanda che ha schierato una formazione Under 24, tanti giovani di belle speranze che si sono dimostrati superiori in ogni zona del campo: non solo nel gioco e dal punto di vista atletico ma anche per la capacità di fare le scelte giuste al momento giusto quando si è in attacco o se si è nella propria linea dei “22”. E, va ribadito, quella degli All Blacks era una formazione sperimentale, potevano mettere in campo altre 3 o 4 squadre molto più forti.

La cosa che più preoccupa è che da anni siamo in un limbo e che non riusciamo a venirne fuori. Si cambiano i CT della nazionale maggiore ma siamo sempre lì a parlare di gioco che non esiste, di alternative che faticano ad emergere, di linea mediana con idee poco chiare, di un grande gap da colmare dal punto di vista atletico, dell’assenza di calciatori di livello: un paradosso per un paese calcistico/pallonaro come il nostro. Fino a pochi anni fa avevamo una mischia invidiabile ma ora non c’è più e Sergio Parisse (l’unico campione nella nostra rosa) è costretto a cantare e portare la croce: ma fino a quando il nostro capitano potrà reggere la baracca da solo?

Sono tante le motivazioni che spiegano lo stato attuale del rugby italiano, un movimento che stenta a crescere, non nei numeri (perché i bambini e i giovanissimi che si avvicinano a questo sport sono sempre di più) ma nell’approccio professionistico. Siamo nel “Six Nations” dal 2000, l’attenzione mediatica e i soldi (arrivati dai sponsor e dalla Federazione Internazionale) non sono mancati e mancata invece l’organizzazione in tutti i piani della piramide: dai vertici della Federazione (FIR) a quelli delle squadre. Il risultato è che le nostre squadre di club non sono per niente competitive e faticano a fornire ricambi di livello alle nostre nazionali, che infatti subiscono pesanti sconfitte sia a livello giovanile che tra i grandi.

Il CT azzurro Conor O’Shea dopo questa partita ha dichiarato ai media di guardare al futuro con speranza: «sono molti i dettagli su cui lavorare. Del resto i cambiamenti non avvengono in una notte. Questo è solo l'inizio, non è che questa sfida sia già uno spartiacque». Insomma il tecnico chiede fiducia ed è giusto che tutti noi gliela diamo: «Non siamo stati molto precisi – ha spiegato O’Shea - in alcuni settori non abbiamo rispettato il piano di gioco come volevamo, ma nonostante il ko ho visto cose buone. Difficile comprendere questa affermazione per chi vede la partita da fuori; da dentro però si sono notate cose positive. Ve l'assicuro».

O’Shea è un ottimo tecnico, vogliamo credergli, dobbiamo dargli il tempo che chiede (ed è giusto così) e vogliamo aspettare fiduciosi nella speranza che il buongiorno questa volta non si veda dal mattino.