Murray è sul trono del tennis mondiale

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Foto di Fabrizio d'Andrea

Si potrebbe dire non è mai troppo tardi, alla soglia dei trent’anni il britannico Andy Murray corona il suo sogno (e della mamma Judy) e diventa il numero uno del tennis mondiale dopo aver ripreso ben 8035 punti in cinque mesi  al serbo Djokovic,  un sorpasso agognato, inseguito con determinazione e raggiunto proprio all’ultimo torneo di questa stagione, quello di Parigi – Bercy. Ora è giusto tributarli ciò che è giusto: lo scozzese è un grande talento tennistico con immense grandi capacità fisico-atletiche che gli hanno permesso di vincere tanti trofei e allori: 3 slam, 2 ori alle olimpiadi di Londra e Rio, 42 tornei e la Coppa Davis 2015 in 11 anni di carriera.

Lo scozzese potrebbe rimanere sul trono per solo sette giorni (la prossima settimana ci sarà il Master alla O2 Arena di Londra e Djoko potrebbe ribaltare le posizioni)  ma che importa è comunque la grande novità del mondo del tennis: Murray ha superato Nole Djokovic (dominatore del circuito da ben 122 settimane) e fa contento tutti gli appassionati del Regno Unito che aspettavano questo momento dal lontano 1936 quando Fred Perry arrivò al numero 1 (allora però il ranking però era stilato dai giornalisti).  

Era il quarto “fab four” a mancare all’appello ma ora dopo Federer, Nadal e proprio Djokovic, anche lui può fregiarsi del titolo di campione. Me lo ricordo quando si è affacciato al grande tennis, era a Wimbledon 2006, il suo torneo (poi vinto due volte), quello di casa. Arrivò agli ottavi (perse dal cipriota Baghdatis) e apparse subito per quel che era, un giocatore molto forte ma altrettanto spocchioso,  indisponente e a volte maleducato che non esprimeva appieno i suoi talenti proprio perché intento a rimirar se stesso invece che a battere il suo avversario. E su questo forse una parte di colpa ce l’ha sua mamma Judy. Per molti anni Murray è stato così. Giocava con i più forti e pur perdendo si atteggiava al personaggio sconfitto solo dal destino cinico e baro. Vinceva e già si sentiva il “number one”. E questo è stato il suo atteggiamento fino al 2012 quando al suo angolo comparve Ivan Lendl, il campione degli anni ’80 che gli ha fatto fare un grande salto di qualità portandolo a vincere Winbledon e le olimpiadi di Londra nello stesso anno (2012). Comunque tornando ancora indietro a quel 2006 va sottolineato che Murray fece un gran torneo e una bellissima annata visto che scalò il ranking entrando per la prima volta (a 19 anni) nei top 20.

Dicevamo non è mai troppo tardi ma così si rischia di fare un torto al giocatore britannico che, sfortunatamente per lui, è capitato nella stessa era dei tre giocatori più forti di tutti i tempi: Federer, Nadal e Djokovic. Tre autentici cannibali (43 titoli slam vinti dai tre dal 2003 ad oggi) che hanno rivoluzionato il tennis moderno giocando a livelli inimmaginabili e irraggiungibili per gli altri. Murray è sempre stato considerato il quarto dei “fab four”, quello che molte volte ha dovuto fare da paggetto alle vittorie degli altri ed anche ora che tutti si affrettano a festeggiare il britannico non  vogliamo sminuire il suo valore ma è innegabile che  questo risultato è stato possibile perché lo svizzero Federer ha 35 primavere e quest’anno ha avuto un infortunio serio che lo ha messo fuori causa per quasi tutta la stagione, Nadal è logoro per una carriera lunga imperniata soprattutto sullo strapotere fisico e Djokovic ha avuto un brusco calo di motivazioni dopo aver vinto il Roland Garros e realizzato il Career slam (cioè ha vinto, anche se non nello stesso anno, i quattro tornei più importanti del circuito).

Ora il ragazzo di Glasgow ha raggiunto il suo massimo momento di gloria ed è giusto che se lo goda fino in fondo, è il 26° numero uno nell’era dei computer (il primo fu Ilie Nastase nel 1973) e ripaga così il lavoro e i sacrifici di una vita intera. Però come prima anticipato se Murray è arrivato in vetta è anche grazie a due straordinari personaggi che gli hanno dato quel quid che gli mancava: Ivan Lendl e Amèlie Mouresmo meritano una menzione speciale, molto diversi tra loro ma a conti fatti due allenatori estremamente intelligenti che hanno saputo tirare fuori il meglio da questo testardo Highlander.